Ricorso  della  Regione  Toscana,  in  persona del presidente pro
tempore, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1378
del 29 dicembre 2003, rappresentato e difeso, per mandato in calce al
presente  atto,  dagli avvocati Lucia Bora e Fabio Lorenzoni e presso
lo  studio di quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, via del
Viminale n. 43;

    Contro  il  Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore per
la  dichiarazione  di illegittimita' costituzionale dell'articolo 14,
commi 1 e 2 e dell'articolo 32, commi 1, 3, 5; da 14 a 20; da 25 a 43
e  49-ter  della  legge  24  novembre  2003, n. 326 di conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269
recante  disposizioni  urgenti  per  favorire  lo  sviluppo  e per la
correzione dell'andamento dei conti pubblici.
    Sul  supplemento  ordinario  alla  Gazzetta  Ufficiale n. 274 del
25 novembre  2003  e'  stata  pubblicata  la legge n. 326/2003 che ha
convertito  il  d.l.  n. 269/2003,  il  cui articolo 32 e' gia' stato
impugnato da questa amministrazione.
    Le  disposizioni  sopra  indicate,  riguardanti la disciplina dei
servizi  pubblici  locali  e  del condono edilizia, sono lesive delle
attribuzioni regionali per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    L'art.  14  modifica  sia  l'art.  113  del  decreto  legislativo
n. 267/2000  -  come  a  sua volta gia' modificato dall'art. 35 della
legge  28 dicembre  2001, n. 448 - in tema di servizi pubblici locali
di  rilevanza  economica,  sia  l'art. 113-bis  dello  stesso decreto
legislativo   n. 267/2000,   introdotto   dall'art. 35   della  legge
n. 448/2001,   sui   servizi   pubblici  locali  privi  di  rilevanza
economica.
    Schematicamente e' previsto:
        1)   le   disposizioni   dell'articolo  che  disciplinano  le
modalita'  di  gestione  ed  affidamento  dei servizi pubblici locali
attengono  alla  tutela  della  concorrenza  e  sono  inderogabili ed
integrative delle specifiche normative di settore;
        2)  e'  sostituita la distinzione fra servizi industriali (la
cui  individuazione  era demandata ad un regolamento ministeriale ora
non  piu'  previsto)  con  la  distinzione  tra  servizi di rilevanza
economica e non economica;
        3)  rimane  la  separazione della proprieta' e gestione delle
reti,  impianti  ed  altre  dotazioni (con la previsione che gli enti
locali  non  possono  cedere  la proprieta' di tali reti ed impianti,
mentre  possono  conferire  detta  proprieta'  a  S.p.a.  a  capitale
interamente   pubblico,   che  e'  incedibile),  dall'erogazione  del
servizio;
        4)  la  gestione  del  servizio  a rilevanza industriale puo'
essere  affidata  a  societa'  di  capitali  individuate  con gara ad
evidenza  pubblica,  a societa' miste, i cui soci privati sono scelti
con  gara  ad  evidenza  pubblica,  a societa' a capitale interamente
pubblico  a  condizione  che  l'ente o gli enti pubblici titolari del
capitale  sociale  esercitino  sulla  societa' un controllo analogo a
quello  esercitato  sui  propri servizi e che la societa' realizzi la
parte  piu'  importante della propria attivita' con l'ente o gli enti
pubblici che la controllano (cd. societa' «in house»);
        5)  e'  prevista  la disciplina della scadenza del periodo di
affidamento,  in  esito  alla successiva gara di affidamento al nuovo
gestore;
        6) e' disciplinato il periodo di transizione per il passaggio
delle  esistenti  gestioni a quelle da affidarsi con le nuove regole.
In  tale  contesto si fissa il termine del 31 dicembre 2006 come data
di  cessazione  delle  concessioni  rilasciate  con procedure diverse
dall'evidenza  pubblica, e poi si prevedono condizioni che consentono
il differimento del suddetto termine;
        7)  per i servizi privi di rilevanza economica e' prevista la
gestione  con  affidamento diretto ad istituzioni e aziende speciali;
mentre si esclude il possibile affidamento della gestione a privati e
a  societa'  miste:  la scelta del modulo societario per tali servizi
presuppone  sempre  il  ricorso  a  societa'  a  capitale interamente
pubblico «in house».
    Le  impugnate disposizioni sono costituzionalmente illegittime in
quanto  dettano  una  disciplina, dettagliata ed autoapplicativa, dei
servizi  pubblici  locali  che  l'art. 117 Cost. non contempla tra le
materie   riservate   alla   legislazione   esclusiva   dello  Stato.
Conseguentemente compete alle regioni disciplinare l'organizzazione e
le  modalita'  di  gestione dei servizi pubblici locali, nel rispetto
della   Costituzione   e   dei   vincoli  derivanti  dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
    Tale  conclusione  resta ferma anche esaminando quelle competenze
di  natura  c.d.  «trasversale»  che  l'art. 117  secondo comma Cost.
riserva allo Stato in via esclusiva.
    Ci  si riferisce, per quanto qui rileva, alla «determinazione dei
livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»
(art.  117,  lett.  m)  e  alle  «funzioni  fondamentali  dei comuni,
province e citta' metropolitane» (art. 117, lett. p).
    Non  e'  pertinente il riferimento all'art. 117, lett. m) che non
riguarda i servizi aventi rilevanza economica ma solo quelli sociali.
Per  questi  ultimi,  poi,  la  competenza  statale  e' limitata alla
determinazione  dei livelli essenziali e quindi degli standard minimi
delle prestazioni, e cio' non preclude quindi la competenza regionale
a  disciplinare gli aspetti concernenti l'organizzazione del servizio
e le modalita' di gestione del medesimo.
    Non  rileva  neppure la citata lettera p) dell'art. 117 Cost., in
quanto la gestione del servizio pubblico non costituisce una funzione
fondamentale  dell'ente  locale, ma un'attivita' di regola esercitata
in   regime  di  concorrenza  e  quindi  sottratta  ad  una  gestione
effettuata con gli strumenti del potere pubblico.
    Lo Stato, per tentare di giustificare la disciplina in questione,
alla  luce  del Titolo quinto della Costituzione, ha affermato che la
disciplina   dei   servizi   pubblici   concerne   «la  tutela  della
concorrenza»  cosi'  assumendo  la competenza ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lett. e) Cost. Naturalmente, pero', non e' sufficiente
questa   mera   qualificazione  formale  a  legittimare  l'intervento
statale:  dovrebbe essere, nella sostanza, vero che la disciplina dei
servizi pubblici riguardi la tutela della concorrenza.
    Ma cosi' non e'.
    Infatti,  come  ha  chiarito  la  dottrina, la nozione di «tuteIa
della   concorrenza»  e'  diversa  da  quella  di  «promozione  della
concorrenza»:  la  prima  si sostanzia nella valutazione dell'impatto
concorrenziale di comportamenti degli operatori economici; la seconda
nella definizione di regole a favore della competizione.
    Attraverso  regole  imposte  agli  operatori, la promozione della
concorrenza  e'  volta  a  conseguire la parita' di trattamento tra i
medesimi e a correggere le carenze del mercato.
    In  sostanza,  e'  necessario  distinguere tra la concorrenza nel
mercato e la concorrenza per il mercato.
    La concorrenza nel mercato riguarda i casi nei quali un'attivita'
economica  non  presenta situazioni di fallimento del mercato tali da
rendere  necessarie  normative  amministrative  di  settore  volte  a
correggerle  e  richiede  soltanto  un'attivita' di vigilanza di tipo
generale  affidata  all'autorita'  garante  della  concorrenza  e del
mercato  dalla  legge n. 287 del 1990. Si tratta cioe' di tutelare la
concorrenza,   in  mercati  naturalmente  concorrenziali,  contro  il
rischio  di  intese  restrittive, di abusi di posizione dominante, di
operazioni  di  concentrazione  con  effetti restrittivi e distorsivi
della concorrenza.
    In tale contesto il compito dell'autorita' e' quello di valutare,
ex post gli impatti sul mercato di certe azioni e di prescrivere agli
operatori dei comportamenti.
    La  concorrenza per il mercato, invece, riguarda i casi nei quali
il  mercato  non appare concorrenziale per natura, specie in presenza
di   situazioni   di   monopolio   naturale.  E'  richiesto  pertanto
l'intervento di una regolazione pubblica aggiuntiva rispetto a quella
generale  di  tutela  della  concorrenza,  tale  da  creare  in  modo
artificiale  i  presupposti  perche'  il meccanismo della concorrenza
possa  comunque  operare.  Per  esempio,  il regolatore pubblico puo'
introdurre  meccanismi  d'asta  per  il  rilascio della concessione a
svolgere l'attivita'.
    Si   tratta  in  buona  sostanza  di  promuovere  la  concorrenza
attraverso il ricorso a regole e a procedure di tipo pubblicistico.
    Alla  luce  di  tutte  queste  considerazioni, la regolazione dei
servizi  pubblici locali, caratterizzati com'e' noto in molti casi da
situazioni  di  monopolio  naturale (impossibilita' di duplicare, per
esempio,  le  reti di distribuzione dell'energia elettrica e dei gas)
richiede interventi di «promozione della concorrenza».
    Stante  la  attribuzione  allo  Stato  della  sola  materia della
«tutela  della  concorrenza»  non v'e' dubbio che spetta alla regione
tutto  quanto  attiene  invece  alla  materia, diversa e distinta, di
«promozione della concorrenza».
    Percio'  la  tutela  della  concorrenza  riservata  allo Stato e'
quella  di  cui  alla  legge  n. 287 del 1990, la cui applicazione e'
riservata alla autorita' garante della concorrenza e del mercato.
    Ne  consegue  che  la  regione  ha  potesta'  in  tema di servizi
pubblici  locali  che  si  estende,  tanto per semplificare, anche al
regime  delle  gare. Queste ultime infatti costituiscono, anche nella
eccezione   piu'   volte   ripetuta   dall'autorita'   garante  della
concorrenza  e del mercato, strumenti non di tutela, ma di promozione
della concorrenza.
    Pertanto le disposizioni impugnate sono incostituzionali, perche'
stabiliscono  una dettagliata ed esaustiva disciplina delle modalita'
di  gestione,  affidamento  ed  organizzazione  dei  servizi pubblici
locali che l'art. 117 Cost. non riserva in via esclusiva allo Stato.
    Le  stesse  disposizioni  non  possono  essere ritenute legittime
neppure  alla luce dell'art. 118 Costi in primo luogo non si indicano
i presupposti per l'intervento legislativo statale «in sussidiarieta»
inoltre  non e' comunque prevista l'intesa con la regione che sarebbe
invece imprescindibile a fronte dell'interferenza della disciplina in
ambiti materiali di competenza regionale.
    2.  -  Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, commi 1, 3, 5;
da 14 a 20;L da 25 a 43 e 49-ter per violazione degli articoli 3, 97,
117 e 118 della Costituzione.
    L'art.   32   della   legge   e'   intitolato   «Misure   per  la
riqualificazione   urbanistica,   ambientale   e  paesaggistica,  per
l'incentivazione   dell'attivita'   di   repressione  dell'abusivismo
edilizio,  nonche'  per la definizione degli illeciti edilizi e delle
occupazioni  di  aree demaniali». La disposizione, gia' contenuta nel
d.l. n. 269/2003, e' stata impugnata dalla regione per illegittimita'
costituzionale.  L'impugnativa  viene riproposta, tenendo conto delle
modificazioni  apportate  dalla  legge  di  conversione n. 326/2003 e
dalla  legge  24 dicembre  2003,  n. 350, il cui art. 2, 70 comma, ha
abrogato i commi 6, 9, 11 e 24 dell'art. 32 in esame.
    Per  quanto  qui  interessa,  il  quinto  comma  dell'articolo 32
individua  il  Ministero  delle  infrastrutture e dei trasporti quale
dicastero di riferimento, d'intesa con la regione interessata, per il
supporto  ai  comuni  ai  fini  dell'applicazione  della normativa in
questione.
    I  commi  da  14  a  20  dello  stesso  articolo  disciplinano la
sanatoria  degli abusi realizzati su aree di proprieta' dello Stato o
facenti  parte  del  demanio  statale:  si prevede che il condono sia
ammissibile  ove lo Stato esprima la disponibilita' a cedere a titolo
oneroso  la  proprieta'  dell'area  ovvero a riconoscere il diritto a
mantenere  l'opera  sul suolo appartenente al demanio o al patrimonio
indisponibile;  tale  disponibilita'  e'  espressa  dall'agenzia  del
demanio  territorialmente  competente,  previo parere delle autorita'
preposto  alla  tutela  del vincolo, nel solo caso di aree soggette a
vincolo ambientale e paesaggistico.
    I  commi  primo  e  terzo, nonche' i commi da 25 a 43 operano una
riapertura, per gli interventi edilizi realizzati abusivamente sino a
tutto  il  31 marzo 2003, del condono edilizio introdotto come misura
eccezionale  con  la  legge  n. 47/1985,  come modificata dalla legge
n. 724/1994,  stabilendo  che  le condizioni, i limiti e le modalita'
del  condono  sono  stabilite dal presente articolo e dalle normative
regionali.   Alla   legge   regionale  si  consente  di  definire  il
procedimento  amministrativo  relativo  al  rilascio  del  titolo  in
sanatoria  e  di  aumentare  l'oblazione  sino  ad un massimo del 10%
(comma  33);  si consente altresi' di determinare la possibilita', le
condizioni  e le modalita' per l'ammissibilita' a sanatoria di alcune
tipologie  di  abuso  e  precisamente  di  quelle  minori,  mentre e'
preclusa  tale  facolta'  per  gli  abusi  piu' rilevanti (comma 26).
L'adempimento da parte dell'interessato del pagamento e delle denunce
previste,  la presentazione della documentazione indicata, unitamente
al  decorso  di  24 mesi dal 30 settembre 2004 senza l'adozione di un
provvedimento  negativo  del  comune equivalgono a titolo abilitativo
edilizio in sanatoria.
    Infine  il comma 49-ter accentra in capo al Prefetto l'esecuzione
della demolizione delle opere abusivamente realizzate.
    Va  premesso  che  la Regione Toscana si e' da tempo dotata di un
sistema  legislativo  organico,  volto  a disciplinare le conseguenze
degli   abusi  edilizi  e  ad  arginare  i  medesimi,  per  garantire
nell'ambito  regionale un ordinato e corretto sviluppo urbanistico ed
edilizio.  In  particolare,  prima  con  la legge regionale 24 agosto
1977,  n. 60,  poi con la successiva 30 giugno 1984, n. 41 sono state
dettate  norme  per l'attuazione nel territorio regionale della legge
n. 10/1977  sull'edificabilita' dei suoli; quindi con la piu' recente
legge regionale 14 ottobre 1999, n. 52 sono state dettate norme sulle
concessioni, le autorizzazioni e le denunce di inizio attivita'. Tale
legge  (gia' modificata con l.r. n. 13/2002 a seguito dell'entrata in
vigore  del  nuovo  Titolo  V della Costituzione) e' stata di recente
modificata  ed integrata con la legge regionale 5 agosto 2003, n. 43,
per  adeguare  il  sistema  normativo  edilizio regionale ai principi
contenuti nel Testo unico sull'edilizia di cui al d.P.R. n. 380/2001;
tale  legge  regionale  n. 43/2003 ha ridisciplinato complessivamente
anche l'aspetto del sanzionamento amministrativo.
    Pertanto  vige  una compiuta normativa edilizia che disciplina le
conseguenze   degli   illeciti;   in   particolare   si  consente  la
regolarizzazione  di  violazioni  formali  (come l'integrazione degli
elaborati  con  conseguente regolarizzazione della denuncia di inizio
attivita':  art.  34-ter  della l.r. n. 43/2003) ed anche di illeciti
sostanzialmente  non  rilevanti,  in  quanto  gli interventi, seppure
realizzati  senza titolo o in difformita' dal medesimo, sono comunque
conformi  alla  disciplina  urbanistica  ed  edilizia  vigente sia al
momento   della   realizzazione   dell'opera  che  al  momento  della
presentazione  della  domanda.  Viceversa  non  e'  consentita alcuna
sanatoria  per  gli  illeciti  sostanzialmente  rilevanti,  ovverosia
compiuti  in  difformita'  dalla  disciplina  urbanistica ed edilizia
(art. 37, come sostituito dalla recente, l.r. n. 43/2003).
    In  base  alla  soprarichiamata  normativa  e' stato, negli anni,
realizzato  a  cura  degli enti locali toscani un efficace sistema di
controlli che ha permesso un ordinato sviluppo edilizia.
    Pertanto  appare  incontestabile  che  in  Toscana  le  impugnate
disposizioni  non  trovano  applicazione,  posto che il secondo comma
dell'art. 32 stabilisce che la normativa e' disposta nelle more della
disciplina  regionale ai principi contenuti nel testo unico di cui al
d.P.R.  n. 380/2001:  poiche' tale adeguamento e' gia' stato disposto
dalla ricorrente Regione con la citata l.r. n. 43/2003, l'impugnativa
avverso  l'art. 32 dovra' essere dichiarata inammissibile per carenza
di  interesse,  non  applicandosi la normativa dell'art. 32 in ambito
regionale toscano.
    Ma  se  tale  tesi  non  dovesse  essere accolta, le disposizioni
impugnate  andrebbero  dichiarate  costituzionalmente  illegittime  e
lesive delle prerogative costituzionali delle regioni, per violazione
degli artt. 3, 97, 117 e 118 per i motivi che si enunciano.
    2.A)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 32,  comma 5, per
violazione degli articoli 117 e 118 Cost.
    Il  quinto  comma  affida  al Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti   un   ruolo  di  coordinamento  per  l'applicazione  della
normativa sul condono che non trova alcuna giustificazione in base ai
parametri  costituzionali  di cui agli artt. 117 e 118 Cost., perche'
non  viene  giustificato  in  nome di esigenze unitarie e cio' in una
materia  -  il  governo  del  territorio - attribuita alla competenze
regionale.
    2.B)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 32, commi 1, 3, da
25  a  43  per  violazione  degli  articoli 117 e 118 Cost., anche in
rapporto agli artt. 3 e 97 Cost.
    2.B.a)  La  disciplina  contenuta  nelle  impugnate  disposizioni
riapre  i  termini  del  condono  edilizio  (sarebbe  dunque il terzo
condono  edilizia,  dopo il primo del 1985 ed il secondo del 1994 per
sanare  gli  abusi  compiuti  sino  al 31 marzo 2003. Alle regioni si
consente   (commi  26  e  33)  di  determinare  la  possibilita',  le
condizioni  e  le  modalita'  del  condono  solo per gli abusi minori
(restauro,  risanamento  conservativo  e  manutenzione  straordinaria
realizzate  in  assenza o difformita' del titolo edilizia), mentre si
preclude  la stessa possibilita' (lasciando alla potesta' legislativa
regionale   solo   l'aumento   dell'oblazione  e  la  disciplina  del
procedimento  di  condono,  peraltro  del tutto inutile, vista che il
medesimo  e'  gia'  dettagliatamente normato dall'allegato 1) per gli
abusi   piu'   rilevanti  e  piu'  incidenti  sul  territorio  (nuove
costruzioni  e  ristrutturazione  edilizia realizzate in assenza o in
difformita'   del  titolo  abilitativo  e  non  conformi  alle  norme
urbanistiche  e  alle prescrizioni degli strumenti urbanistici). Tali
previsioni  vanno  esattamente  nel  senso  opposto rispetto a quanto
stabilito dalla citata l.r. n. 43/2003: la Regione Toscana infatti ha
previsto  la  sanatoria degli abusi minori, mentre l'ha drasticamente
esclusa  per  gli  illeciti  piu'  gravi  e  che  in modo sostanziale
alterano l'ordinato assetto del territorio.
    Ora  la  regione ricorrente dovrebbe invece, in base all'art. 32,
subire  gli  abusi  piu'  rilevanti  e  lasciarli  condonare,  mentre
potrebbe  disciplinare  con  la  propria legge, ex art. 32, comma 26,
lettera  b)  la  possibilita'  di  escludere il condono per gli abusi
minori!
    Cio'  dimostra  come  il  legislatore  statale  abbia  creato una
situazione   paradossale,   del   tutto   irrazionale,   che   incide
pesantemente  sulle  attribuzioni costituzionali delle regioni e che,
soprattutto, vanifica la legislazione che le regioni hanno emanato in
virtu' di dette attribuzioni.
    La  sanatoria  degli  illeciti  edilizi  incide  sul  governo del
territorio  materia soggetta alla potesta' legislativa concorrente ex
art.  117,  terzo  comma  Cost.  Pertanto  in tale materia allo Stato
compete  unicamente dettare i principi fondamentali: come specificato
dalla  Corte  costituzionale,  la  nuova  formulazione  dell'art. 117
Cost.,  rispetto alla previgente, esprime l'intento di una piu' netta
distinzione  fra la competenza regionale a legiferare e la competenza
statale,  limitata alla sola determinazione dei principi fondamentali
(sentenza n. 282/2002).
    Da  cio'  consegue che la disciplina sostanziale e procedimentale
deve  essere  determinata dal legislatore regionale, nel rispetto dei
principi  regolatori  determinati dallo Stato, per tali intendendosi,
secondo   quanto  spiegato  dalla  Corte  costituzionale,  «i  nuclei
essenziali  del contenuto normativo che quelle disposizioni esprimono
per  i principi enunciati e da esse desumibili» (sentenze n. 482/1985
e  n. 192/1987).  Cio'  non  avviene  nel  caso  in  esame, in cui il
legislatore  nazionale detta una disciplina procedimentale minuziosa,
dettagliata,  autoapplicativa,  direttamente  operativa nei confronti
dei  privati  interessati  (la' dove, invece, i principi fondamentali
della  materia dovrebbero essere rivolti al legislatore regionale che
poi   dovrebbe   articolare   la   normativa   applicabile  ai  terzi
interessati),  con la conseguenza che si privano del tutto le regioni
del  loro  potere  -  costituzionalmente  previsto  - di disciplinare
organicamente la materia.
    Ma,  soprattutto, la sanabilita' delle opere edilizie abusive non
costituisce un principio fondamentale della materia.
    Questo  si  ricava  agevolmente  dall'esame  delle pronunce della
Corte costituzionale in tema di condono edilizio.
    La  Corte costituzionale, nella sentenza n. 369/1988, ha rilevato
che  il  «potere  di clemenza» va esercitato nel rispetto dei vincoli
costituzionali;  pertanto,  il  condono puo' giustificarsi unicamente
come misura eccezionale necessaria per chiudere decenni di abusivismo
di   massa,  contestualmente  all'emanazione  della  nuova  normativa
urbanistica  di  cui  alla  legge n. 47/1985. In particolare la Corte
costituzionale  ha  rilevato  la  necessita' di tenere distinto nella
legge n. 47 «cio' che attiene al futuro, nel quale il legislatore nel
riordinare  la  materia  non  ammette  in alcun modo sanatorie per le
opere  contrastanti  con  gli  strumenti  urbanistici,  da  cio'  che
riguarda   il   passato»;   dunque   il   condono,   irripetibile   e
straordinario,  e'  giustificato  solo in quanto punto di partenza di
una nuova legalita'.
    Invece, afferma la Corte nella sentenza n. 416/1995, «ben diversa
sarebbe  la situazione in caso di altra reiterazione di una norma del
genere,  soprattutto  con  ulteriore  e  persistente  spostamento dei
termini  temporali  di  riferimento del commesso abusivismo edilizio.
Conseguentemente  differenti  sarebbero i risultati della valutazione
sul piano della ragionevolezza, venendo meno il carattere contingente
e del tutto eccezionale della norma (con le peculiari caratteristiche
della  singolarita'  ed  ulteriore  irripetibilita)  in  relazione ai
valori  in  gioco,  non  solo  sotto  il  profilo  della  esigenza di
repressione dei comportamenti che il legislatore considera illegali e
di cui mantiene la sanzionabilita' in via amministrativa e penale, ma
soprattutto  sotto  il  profilo  della  tutela  del  territorio e del
correlato  ambiente  in  cui  vive l'uomo. La gestione del territorio
sulla  base  di  una  necessaria  programmazione  sarebbe  certamente
compromessa   sul   piano  della  ragionevolezza  da  una  ciclica  o
ricorrente   possibilita'   di   condono  sanatoria  con  conseguente
convinzione  di  impunita',  tanto  piu'  che  l'abusivismo  edilizio
comporta  effetti  permanenti  (qualora non segua la demolizione o la
rimessa  in  pristino) di modo che il semplice pagamento di oblazione
non restaura mai l'ordine giuridico violato».
    Dall'esame  della  giurisprudenza costituzionale si evince che la
Corte ha ribadito sempre il carattere eccezionale del condono.
    Un   istituto   che,  per  essere  valutato  compatibile  con  la
Costituzione,  deve  essere  eccezionale  e  straordinario  non  puo'
costituire un principio fondamentale dell'ordinamento e della materia
idoneo, ex art. 117 Cost., a vincolare il legislatore regionale; anzi
il  condono  edilizio  scardina proprio tutti i principi fondamentali
della  legislazione  urbanistica,  che  il legislatore regionale deve
rispettare,  quali  quello  della  possibilita' di costruire solo nel
rispetto  della normativa edilizia; della possibilita' di ottenere la
sanatoria   solo   in   presenza   di'  certe  condizioni  (ai  sensi
dell'art. 13  della legge n. 47/1985, come sviluppato dal legislatore
regionale); dell'obbligo di sanzionare gli abusi.
    Inoltre  nel  caso  in  esame non si ravvisano assolutamente quei
caratteri  di  eccezionalita' dell'istituto sopra richiamati, perche'
si  reitera il condono, in totale spregio ai principi enunciati dalla
Corte  costituzionale nella sentenza n. 416/1995. Il condono edilizio
rende  inevitabile apportare le varianti agli strumenti urbanistici e
cosi'  la regione e gli enti locali sono costretti a subire, anziche'
governare,  le  destinazioni urbanistiche del territorio in base agli
abusi  realizzati e sanati dal legislatore statale con norma non piu'
ragionevole,  perche'  ormai  vige  una diversa normativa urbanistica
certa  che  non  ammette deroghe. Ne' puo' legittimarsi il condono in
nome  di  una generalizzata inefficacia delle regioni ad arginare gli
abusi  con  adeguati controlli: si e' infatti evidenziato come questa
inefficienza  non sia affatto rinvenibile in Toscana, come, peraltro,
ormai in molte altre regioni.
    Esaminando  poi  l'articolo  come  risultato  dopo  le  modifiche
apportate  dalla  legge  di  conversione  e  dalla legge n. 350/2003,
emerge  chiaramente  che  e' rimasto solo il condono edilizio, mentre
sono  stati  abrogati  i fondi per la riqualificazione urbanistica ed
ambientale.  La  citata legge n. 350/2003, infatti, all'art. 2, comma
70,  ha  abrogato  i commi sesto, nono, undicesimo e ventiquattresimo
dell'articolo in esame e quindi ha soppresso:
        il  fondo  di  50  milioni  di  euro  destinato  a finanziare
politiche  di  riqualificazione  urbanistica  dei  nuclei interessati
dall'abusivismo edilizio;
        il  fondo  di  100  milioni  di  euro  destinato  ad attivare
interventi   volti  a  riqualificare  ambiti  territoriali  degradati
(economicamente e socialmente) a causa dell'abusivismo edilizio;
        il fondo di 50 milioni di euro per interventi di ripristino e
riqualificazione di aree paesaggistiche;
        il fondo di 100 milioni di euro finalizzato al miglioramento,
tutela e valorizzazione delle aree demaniali.
    Il  risultato  della  soppressione  di  tali  fondi e', con tutta
evidenza,  che  il  condono e' disposto unicamente per sopperire alle
esigenze  finanziarie  dello Stato, senza essere accompagnato neppure
da minime misure di riqualificazione ambientale ed urbana.
    Per  tutti i rilevati motivi la norma si pone in totale contrasto
con  le  prerogative  costituzionali  previste  dagli artt. 117 e 118
Cost.
    2.Bb)  Le disposizioni contenute nell'art. 32, commi 1, 3 e da 25
a  43,  violano  gli  artt. 117  e  118 Cost., anche in rapporto agli
artt. 3 e 97 Cost.
    Infatti  la reiterazione del condono edilizio scardina il sistema
della legalita', viola il principio di uguaglianza e contrasta con il
principio di buona amministrazione.
    Anche   se   il  legislatore  regionale  non  tollera  gli  abusi
sostanziali  ed  anche se i controlli sono svolti efficacemente, come
puo' pretendersi che le regole siano rispettate quando il legislatore
nazionale  ha  condonato  prima gli abusi commessi entro il 1985, poi
gli  abusi  commessi entro il 1993 ed ora gli abusi commessi entro il
marzo 2003?
    Inevitabilmente  si  crea un affidamento sul futuro condono - che
da  eccezionale  e  straordinario  diventa strumento ricorrente - che
favorisce  il  compimento  di  abusi  edilizi.  Cosi'  si  premiano i
cittadini  che  non  rispettano  le  regole (i quali dalle norme come
quella   impugnata   trovano  una  conferma  al  fatto  che  il  loro
comportamento  illegale sara', prima o poi, premiato e si penalizzano
invece  i cittadini rispettosi delle norme che, da un lato, non hanno
realizzato  opere  abusive  perche'  le  leggi  non lo permettevano e
quindi  ne  sono  rimasti  privi e, al tempo stesso, sono costretti a
vivere  nel  degrado  urbanistico  prodotto dagli abusi realizzati da
altri e accettati dallo Stato con il condono.
    Tutto  cio'  viola  gli  artt.  3  e 97 della Costituzione che la
regione  ricorrente  e'  legittimata  a  far valere in relazione alle
proprie  competenze sul governo del territorio che vengono gravemente
compromesse e vanificate dal condono per i motivi esposti.
    2.C)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 32, commi da 14 a
20, per violazione degli articoli 117 e 118 Cost.
    I  vizi  eccepiti ai precedenti punti riguardano anche i commi da
14  a  20  dell'art. 32, che ammettono la sanatoria degli abusi sulle
aree di proprieta' statale.
    In  particolare  e'  disposta l'ammissibilita' del condono ove lo
Stato  sia  disponibile  a  cedere  l'area ovvero a mantenere l'opera
abusiva:   tale   disponibilita'   alla   cessione   dell'area  o  al
mantenimento  dell'opera  abusiva  viene  espressa  dall'agenzia  del
demanio  territorialmente  competente,  con  il parere dell'autorita'
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico ed ambientale solo per
le aree vincolate.
    La denunciata illegittimita' deriva dal fatto che la sanatoria e'
rimessa  unicamente  alla  volonta'  ed  alla  decisione  dello Stato
proprietario  e  non  viene  data alcuna rilevanza a quanto in merito
stabilito  dal  legislatore  regionale  cui, invece, l'art. 117 Cost.
affida  la  competenza  a  disciplinare  l'ammissibilita' urbanistica
degli interventi anche sulle aree di proprieta' dello Stato.
    In via subordinata l'illegittimita' sussiste comunque perche' non
si  prevede  che  l'agenzia  del  demanio  acquisisca l'intesa con le
regioni  che  invece sono titolari di competenze in merito al governo
del territorio e che quindi, in tale loro qualita', dovrebbero quanto
meno  essere  coinvolte con l'intesa nella verifica urbanistica della
sanatoria riguardante anche gli abusi sulle aree statali.
    2.D) Illegittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 49-ter per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost.
    Le  censure sopra formulate valgono anche nei confronti del comma
49-ter  dell'art. 32,  il  quale  sostituisce  l'art.  41  del d.P.R.
n. 380/2001  concernente  la  demolizione  delle  opere  abusive.  Si
dispone  che  entro  il mese di dicembre di ogni anno il responsabile
del  servizio trasmette al Prefetto l'elenco delle opere non sanabili
per  le  quali  il  responsabile  dell'abuso non abbia proceduto alla
demolizione;  entra  lo  stesso  termine le amministrazioni statali e
regionali  trasmettono  al  prefetto  l'elenco  delle  demolizioni da
eseguire. Il Prefetto dispone l'esecuzione delle demolizioni.
    E'  quindi  accentrata  la competenza alla demolizione in capo al
Prefetto,   con  obbligo  per  le  amministrazioni,  compresa  quella
regionale, di segnalare al medesimo prefetto gli illeciti esistenti.
    La  disposizione  viola  la  competenza  legislativa regionale in
materia  di  governo  del  territorio:  nell'esercizio della potesta'
legislativa  concorrente  spetta infatti alla regione disciplinare le
modalita' del controllo sugli illeciti realizzati e delle demolizioni
da disporre. Cosa che peraltro la Regione Toscana - giova ripeterlo -
ha  gia'  provveduto  a  disciplinare, da ultimo con la compiuta l.r.
n. 43/2003,  con un sistema di controlli che non presenta disfunzioni
o   inefficienze  e  quindi  non  si  capisce  perche'  debba  essere
scardinato  e sostituito con quello allocato a livello centrale dalla
norma qui contestata.
    L'art.  49-ter,  d'altra  parte, non introduce un principio della
materia:  il  principio  e'  infatti quello per cui il controllo deve
essere  effettuato  e  l'abuso  demolito  e  a  tale  principio, gia'
espresso  dal  legislatore  nazionale  nella  legge n. 47/1985, si e'
attenuta  sempre  la  legislazione  della  Regione Toscana; ma non e'
certo  considerabile  un  principio  fondamentale  quello  per cui la
demolizione deve essere disposta dal Prefetto.
    Ne'  la norma puo' essere ritenuta legittima in base all'art. 118
Cost.   In   primo   luogo  non  sono  evidenziate  le  esigenze  che
imporrebbero  l'esercizio unitario; inoltre l'amministrazione statale
non  dispone  nemmeno  dei  dati  per  effettuare  il controllo degli
interventi   edilizi,   tanto   che   si   pongono   a  carico  delle
amministrazioni  locali  pesanti oneri burocratici di trasmissione al
Prefetto  degli elenchi degli illeciti. In ogni caso - come affermato
dalla  Corte costituzionale nella sentenza n. 303/2003 - ove lo Stato
intervenga   legislativamente   in   applicazione  del  principio  di
sussidiarieta' in ambiti materiali affidati alla competenza residuale
o  concorrente  regionale  (  come  il  governo  del  territorio)  e'
imprescindibile   la  previsione  dell'intesa  per  salvaguardare  le
competenze  riconosciute  alle  regioni, intesa che nella fattispecie
non e' invece contemplata.
    Per  tutti  i  suddetti  motivi  le  disposizioni  impugnate sono
incostituzionali.
    Con riferimento all'art. 32 in questione, le argomentazioni sopra
addotte  evidenziano  la sussistenza nel caso in esame del rischio di
un  pregiudizio  irreparabile  all'interesse  pubblico  che, ai sensi
dell'art.  35  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87  come sostituito
dall'art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131, consente alla Corte di
sospendere  l'esecuzione delle disposizioni impugnate del citato art.
32.
    Infatti    l'esecuzione   dell'impugnata   normativa   imporrebbe
l'attivazione  delle  procedure  di  condono da parte dei comuni, tra
l'altro   con   ingenti   spese  per  far  fronte  all'organizzazione
dell'attivita',  neppure  coperte  dagli  introiti del condono, posto
che, ai sensi dell'art. 32, comma 41, la quota del 50% delle somme da
trasferire ai comuni da parte dello Stato non si riferisce all'intero
gettito  delle  oblazioni  ma  solo  a  quello  riscosso  a titolo di
conguaglio  ed  e'  dunque eventuale, differita e sicuramente di poco
rilievo.
    Ancora  l'esecuzione  della normativa richiederebbe l'adeguamento
degli strumenti di pianificazione territoriale regionali, provinciali
e  comunali, in base agli abusi condonati, piegando cosi' le esigenze
pubbliche  di  corretta  pianificazione territoriale alla volonta' di
alcuni  che,  pur  avendo commesso illeciti, sono riusciti a incidere
sull'uso  del  territorio  e  ad  imporre  il  degrado urbanistico ed
ambientale conseguente alle loro illegalita'.
    Ancora  l'esecuzione  del provvedimento mina alla radice il ruolo
della  regione  quale  ente  di governo del territorio: perche' mai i
cittadini  toscani  dovrebbero  «prendere sul serio» le leggi emanate
dal  legislatore  toscano  ed  il  sistema  di  sanzioni dallo stesso
introdotte,  quando  poi  il  legislatore  nazionale  ha il potere di
travolgere  a  colpi  di  decreti legge tale articolata normativa? E'
evidente   quindi   non   solo  l'indebolimento,  ma  addirittura  la
vanificazione del ruolo essenziale della regione.
    A  cio'  va  aggiunto,  quale  ulteriore  irreparabile  danno, la
situazione di incertezza che si crea, in attesa della definizione del
presente giudizio, per i cittadini destinatari della normativa.
    Inoltre  l'art.  32, comma 25, impugnato prevede l'applicabilita'
delle  disposizioni  di  cui  ai  capi IV e V della legge 28 febbraio
1985,  n. 47,  e  successive modificazioni ed integrazioni alle opere
edilizie  ultimate  entro  il  31 marzo  2003. L'art. 44 della citata
legge  n. 47/1985  (compreso  nel capo IV della medesima) comporta la
sospensione  anche  dei  procedimenti  amministrativi  e  della  loro
esecuzione  sino  alla  scadenza  del  termine  previsto  a  pena  di
decadenza   per   la   presentazione   della  domanda  relativa  alla
definizione dell'illecito edilizio.
    Quindi  la mancata sospensione della norma impugnata determina un
blocco  di  tutta  l'attivita'  di  controllo  che le amministrazioni
comunali stanno eseguendo sul territorio regionale.
    La  mancata  sospensione  invocata  determina  altresi',  per gli
stessi  motivi  appena  evidenziati,  anche la sospensione di tutti i
procedimenti  giurisdizionali  aventi  ad  oggetto  l'irrogazione  di
sanzioni  per  abusi  che  possono  rientrare nel nuovo condono, come
dimostrato  dalle  ordinanze  emesse  dai giudici amministrativi, che
stanno dando atto della sospensione dei giudizi sino al 31 marzo 2004
(ordinanza  Tribunale  amministrativo regionale, Toscana, II Sezione,
n. 5738/2003;   ordinanza   del   Consiglio   di  Stato,  Sezione  V,
n. 9279/2003).
    Tutte  le suddette conseguenze non potrebbero essere ripristinate
dalla  pronuncia definitiva e pertanto sussiste l'irreparabilita' del
pregiudizio.